Non sono mai stata una grande fan della giornata dei "calzini spaiati". Nella mia vita, ho conosciuto la disabilità solo da adulta. Mio marito faceva volontariato in alcuni appartamenti di un progetto per l'autonomia delle persone disabili, aggregarmi a lui è stato naturale. La prima volta che sono entrata in uno di quegli appartamenti, ho conosciuto tre persone incredibili: Manu, Anna e Romi. Di loro avrei potuto dire di tutto, tranne che fossero "spaiate", anzi, erano davvero fighissime. Romina è stata una delle persone più sorridenti e resilienti che io abbia mai conosciuto! Lavorava in un call center, insultava ogni politico che passava in TV (e aveva terribilmente ragione) e trasmetteva un’energia contagiosa. E poi c’era Marco: "Ma mollalo questo, che puoi avere me!" mi diceva ridendo. Quando siamo andati a mangiare la pizza, la sua storia mi ha lasciata senza parole. E poi tante altre persone incredibili: Franco, Antonio, Massi... e molti altri, che non elenco perché non mi basterebbe un intero blog per raccontarli. C'era chi muoveva solo due dita e riusciva a farmi ridere fino al mal di pancia con i suoi racconti, e chi correva senza sapere bene dove, ma voleva che io andassi con lui. Altri, invece, scavavano nel profondo, ponevano domande importanti, alcuni avevano una fede incrollabile, altri credevano più nelle persone che in Dio, ma tutti credevano in sé stessi. Quello che intendo dire è che, dopo anni vissuti in punta di piedi tra i ragazzi disabili, condividendo vacanze e quotidianità, scherzi e pianti con loro, ho imparato una cosa fondamentale: la vita non è fatta di limiti, ma di obiettivi. Non potrei mai vederli come calzini spaiati. Oggi, pensando a loro, mi viene in mente una sola parola: presenza. Nessuno che io conosca ha mai saputo assaporare la vita stando nel presente meglio di loro. Io sto ancora cercando di imparare da loro questa competenza, ma la strada è lunga.
